DI NOTTE, DI SOGNI, DI…SEGNI, Bologna

Una notte rimase chiuso dentro… …perché si era assopito appoggiato allo stipite del vano-bagno. Svegliatosi, orinò, come doveva fare quand’era sceso ad aspettare che qualcun altro lo liberasse, il bagno. Poi risalì e con un filo d’angoscia misto a stupore s’accorse che non c’erano più voci, ne risa, non c’era più musica, ne la cassa sputava più scontrini, non c’era il padrone. Non c’era rumore, solo luci riflesse da fuori. La porta era chiusa, la serranda abbassata. Rimase in attesa. E fu il luogo, da sè, che si mise a parlare. Parlavano i muri con l’eco di voci sospese. C’erano occhi intorno che lanciavano sguardi. Sentiva presenze e profumi. Galleggiavano a mezz’aria i sentimenti più spessi, come vuoti a perdere, poi parole non dette, lacrime rimaste su tovaglie di carta, frasi fatte, sbadigli accoppiati a spirali di fumo. Rumori di piatti, di sughi di carne, musiche di sottofondo e rossetto sbavato, quello sui bicchieri. Ascoltava passando le dita sopra i tavoli e sui muri per sentirne l’umore. Prese i colori dalla borsa di skai. E cominciò a lavorare compreso nel gesto che mutava lo spazio, lasciando impronte che deformavano l’ambiente. Il luogo narrava la sua memoria, lì al crocevia di due strade. All’incrocio tra la notte e il giorno era un tempo mancante, sospeso al giudizio. I volti si profilavano da sè, mentre lui era soltanto un mezzo. Dava sfogo, trovava una via per il segno che navigava veloce, come sotto la città scorre l’acqua dei canali segreti, quelli che sembrano fiumi quando piove più forte. Apriva l’orecchio e tendeva il suo cuore per ricevere meglio. Lasciava che parlassero tutti in quella lingua senza parole, senza saluti nè convenevoli. Erano anime giovani di passaggio, erano grida di fuga dopo uno sparo, notti ubriache e pensieri leggeri. Erano anime antiche che da li non erano mai ripartite, erano sorrisi che scoprono i denti, ed altre smorfie strane, erano risate cristalline. Finì i colori che faceva giorno. Fabrizio Poli

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